Parti, testimoni e documenti nel processo canonico


Le singole prove

Se la dottrina processuale civile, ritiene la distinzione dottrinaria delle prove di scarsa utilità pratica e di solo valore relativo, lo stesso non si può dire per dottrina e giurisprudenza canonica, dal momento in cui le diverse tipologie probatorie acquisiscono una notevole rilevanza processuale soprattutto in funzione alla loro valutazione. Calandoci nella tipologia, l’istruttore si imbatterà in diverse specie probatorie di cui dovrà ben sapere il peso. In primo luogo egli potrà avere a che fare con una “prova libera”, quale quella poi alla libera valutazione del giudice unico o collegiale (cfr. can. 1572). Contrariamente alla prova libera, nella “prova legale” l’istruttore dovrà tenere in considerazione che la valutazione dell’efficacia delle risultanze probatorie per il giudice chiamato a decidere, sarà determinata dalla legge stessa. Dai criteri di di prova legale, possiamo ricavare un’ulteriore distinzione in merito all’efficacia probatoria della “prova piena” o “semipiena”. La prima è quella che adempie i requisiti della legge in senso stretto producendo la dovuta certezza giuridica, sia nel giudice, se e una “prova libera”, sia nella legge, se è una “prova piena” legale (cfr. cann. 1536 §1; 1540 §1-2; 1541; 1585). Per quanto concerne invece la “prova semipiena”, questa non raggiunge l’intensità della “prova piena” in quanto prodotta in modo imperfetto, ma ciò non toglie la possibilità che possa essere raggiunta la “prova piena”, qualora concorrano altri elementi probatori che la rafforzino completamente (cfr. cann. ‘ 1536 §2; 1542; 1536§2). Sulla base della natura del rapporto esistente tra il fatto da provare in giudizio, giuridicamente rilevante ai fini della decisione, e l’oggetto specifico della prova, questo ci permette di considerare un ulteriore distinzione tra “prova diretta” e “prova indiretta”. La prima si ha quando vi è coincidenza tra l’enunciazione sul fatto posto ad oggetto della prova, di cui la prova dà conferma ed il fatto da provare in giudizio. Viceversa si avrà la “prova indiretta” quando il fatto posto ad oggetto della prova sarà diverso dal fatto da provare in giudizio che è giuridicamente rilevante, ma che comunque viene assunto come premessa di un ragionamento che permetterà di trarre elementi di conferma tali da provare il fatto che interessa direttamente. Per fare un esempio, nelle cause di “simulazione matrimoniale” – can. 1101 §2 – la “prova diretta” acquisita dall’istruttore sarà costituita dalla confessione giudiziale del simulante; la dichiarazione dell’altra parte, le testimonianze o i documenti, in quanto riferibili al fatto principale, partecipano alla formazione della “prova diretta”. Infine, l’istruttore quando si troverà dinnanzi ad un documento, dovrà tener presente che sta trattando una “prova precostituita”, intesa quale quella che si forma al di fuori e solo in un secondo momento entra nel processo, a differenza della prova semplice, quale quella che si forma nel corso del processo stesso.

Le dichiarazioni delle parti.

Per dichiarazioni delle parti dobbiamo intendere una formula ampia, includente più istituti giuridici che hanno però una portata istruttoria diversa. Si deve innanzitutto constatare come i canoni sulle dichiarazioni delle parti (cann. 1530-1538), costituiscono il primo capitolo sulle prove, il che implica l’attribuzione a livello probatorio, come volontà specifica del legislatore, di un valore morale superiore rispetto alle altre prove. Va considerata in primo luogo, la diversa collocazione di questo mezzo probatorio rispetto al codice del 1917. II Titolo X – De probationibus – si apriva con tre canoni introduttivi, dove il primo genere di prova era De confessione partium e l’interrogatorio delle parti in giudizio si trovava nel Titolo XI. Fino all’entrata del codice del 1983, vigeva il principio stabilito nell’art. 117 dell’Istruzione Provida Mater del 15 agosto del 1936, secondo cui si includevano tra le prove solo quelle dichiarazioni delle parti che rientrassero nel concetto processuale di confessione e queste però, non sarebbero state idonee a provare la nullità del matrimonio, per una visione pessimistica dell’uomo, sollecitato a mentire a proprio vantaggio, anche se idealmente giustificato nel principio fondamentale secondo il quale nessuno è capace di provare per propria utilità. La confessione era considerata una prova bona fide perché data non a favore della parte, ma contro se stessa ed in favore dell’altra parte. Oggi, il fatto di includere ogni dichiarazione, cioè anche quelle che hanno contenuto favorevole alla parte dichiarante, si trova in coerenza con l’idea che ha del processo canonico il nuovo codice: la scoperta della verità implicandone la collaborazione fra le parti. Questa presunzione spiega il fatto che la dichiarazione sia un mezzo di prova nelle mani del giudice che potrà usare sempre in qualsiasi momento del processo e lo dovrà fare ogni volta che una parte lo chieda. La vera prova tipica è “l’interrogatorio delle parti”. Questo è un mezzo di prova che può essere proposto in ogni tipo di causa ed in ogni momento dell’istruttoria, in quanto il can. 1530 riconosce all’istruttore un certo “procedere” che nei casi di bene privato si attua come obbligo e solo ad istanza delle parti; invece, nei casi penali e di bene pubblico (cause matrimoniali), deve procedere anche ex officio, ossia indipendentemente dalla richiesta di parte. Circa le condizioni oggettive dell’interrogatorio questo avverrà sulla base di domande formulate dall’istruttore, cui le parti, i loro rappresentanti, il promotore di giustizia e il difensore del vincolo, potranno presentare al giudice, fermo restando il diritto di questi di modificarle, di cassarle e di aggiungerne altre (cfr. cann. 1533, 1534 e 1452). Solo i patroni e le parti pubbliche possono assistere agli interrogatori e devono essere osservate tutte le prescrizioni dettate per l’escussione dei testimoni.

La prova documentale

Nell’attuale codice la prova documentale è collocata nel capitolo II del titolo IV del Libro VII, preceduta solamente dalle dichiarazioni delle parti ed anteposta alla prova testimoniale, in quanto ai documenti viene riconosciuta, come prova prevalentemente oggettiva, maggiore garanzia di esattezza e credibilità, mettendola al riparo dai limiti soggettivi a cui sono facilmente sottoposte le altre prove. Il documento è di per sé una prova reale e precostituita in quanto elaborato in una fase anteriore all’entrata dello stesso nel processo. Da un punto di vista processuale lo si può qualificare in senso lato come instrumentum, ossia quell’oggetto capace di provare le circostanze attinenti ad un fatto rilevante in una causa, comprendendo per cui tutte le immagini esteriori atte a rendere il giudice più certo di qualche fatto.

Testimoni e testimonianze

Nel dare una definizione della prova testimoniale questa può essere qualificata come “l’atto processuale consistente in una dichiarazione di scienza o conoscenza su di un fatto passato – anteriore alla causa, istanza o citazione – esposta davanti al giudice da una persona estranea alla causa, detta testimone”. La prova testimoniale, nel vigente Codice, continua ad avere una particolare importanza e stima, particolarmente nel processo matrimoniale, e ciò si evince anche dal principio base enunciato nel primo canone del capitolo dedicalo alla prova testimoniale: “la prova testimoniale è ammessa in qualsiasi tipo di causa, ma sempre con la moderazione del giudice” (cfr. can. 1547). Infatti la facilità di produrre testimoni – visto che il can. 1549 riconosce a qualsiasi persona la capacità di essere testimone – è prudentemente temperata dalla legge: sia dal lato del giudice perché egli deve accertare l’idoneità a testimoniare, dirigere l’amministrazione della prova testimoniale, e in coscienza apprezzarne il valore; sia dal lato delle parti perché hanno l’onere di provare l’ammissibilità di un dato teste o la libertà di sollevare eccezioni contro i testimoni, eccezioni che dovranno essere provate affinché il giudice le possa prendere in considerazione. Accertare l’idoneità ad essere testimone, questi lo si deve qualificare come colui che riferisce fatti che ha percepito con i sensi, che verrà a testimoniare o in seguito a legittima citazione del giudice, osservando le formalità prescritte (testimone giudiziale), o spontaneamente, ma in questo caso l’ammissione rimane alla discrezionalità del giudice. Due sono gli obblighi che si vengono a porre in capo al testimone: il primo concerne il rendere testimonianza secondo verità e scienza, tutte le volte che ciò gli viene legittimamente richiesto e questa richiesta non può venire che dall’istruttore interessato a conoscere la verità dei fatti. Il secondo, correlato al primo, di rendere al giudice i motivi dell’eventuale assenza, comunicando a questi le ragioni di interesse pubblico o privato per cui si ritiene esonerato dall’obbligo o impedito ad adempierlo. Logicamente, saranno per prime le parti a presentare i testimoni, per il mezzo di un’istanza al giudice, il cui elenco deve essere accompagnato dall’indirizzo dei medesimi, con l’indicazione dei punti su cui si chiede l’escussione degli stessi. La mancata indicazione della lista testi entro il termine stabilito dal giudice, può essere prorogato, implica l’abbandono della richiesta. La parte stessa, a norma del can. 1551, può rinunciare all’escussione di un suo teste, fermo restando il diritto della parte avversa di chiedere che il teste venga ugualmente sentito e su ciò deve decidere il giudice. Circa le persone che possono assistere all’interrogatorio il Codice parla chiaro. Nelle cause matrimoniali, il can. 1678 §1 sancisce il diritto per i patroni di essere presenti all’esame dei testimoni, a meno che il giudice, tenuto conto di tutte le circostanze e motivando la cosa, non ritenga opportuno procedere in segreto. E certo che il giudice cerchi di garantire il più possibile la presenza dei patroni, al fine di evitare supplementi d’istruttoria – can. 1598 §2 – e per risolvere le difficoltà che possono sorgere in fase di interrogatorio. Si trova poi fermezza nell’impossibilità per le parti di assistere all’interrogatorio dei testimoni, anche perché con la loro presenza, la persona che rende testimonianza facilmente può essere limitata nella sua libertà. Circa le domande da porre ai testimoni, queste devono essere formulale in modo chiaro, breve, semplice e attinenti alla causa. Nel formularle, si deve tenere conto dell’intelligenza e mentalità del teste e tutta la deposizione deve essere verbalizzata dal notaio.

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