La delibazione della sentenza ecclesiastica di nullità ed i suoi effetti sul giudizio di divorzio (Cass. n. 1882/19)


Cass. Civile, Sez. I, 23 gennaio 2019, n. 1882, ord. – Pres. Giancola – Rel. Sambito – G. c. G.

Omissis

Svolgimento del processo

Con sentenza non definitiva n. 254 del 2007, il Tribunale di Asti pronunciava la cessazione degli effetti civili del matrimonio contratto tra G.F. e Gr.Ma.Lu. rimettendo la causa in istruttoria per la soluzione delle questioni patrimoniali ad essa collegate. L’appello del marito, con cui tra l’altro si lamentava la mancata sospensione del processo in pendenza di quello ecclesiastico relativo alla dichiarazione di nullità del matrimonio, veniva rigettato dalla Corte di Torino ed il successivo ricorso per cassazione veniva, del pari, rigettato da questa Corte, con sentenza n. 24990 del 10.12.2010.

Nelle more, con sentenza del 5.3.2010, il Tribunale, all’esito dei disposti accertamenti tramite la GdiF, riconosceva, per quanto ancora d’interesse, il diritto della Gr. all’assegno divorzile e lo determinava in Euro 1.000,00, decisione che veniva confermata, con sentenza dell’11.6.2014, dalla Corte d’Appello di Torino, secondo cui: a) la delibazione, intervenuta nel corso del giudizio d’appello in data 14.2.2011, della sentenza ecclesiastica di nullità del matrimonio concordatario non valeva ad escludere il diritto all’assegno, essendo in precedenza passata in giudicato la sentenza di cessazione degli effetti civili del matrimonio, con conseguente validità per lo Stato Italiano del vincolo coniugale; b) l’ammontare dell’assegno determinato dai primi giudici era congruo, in relazione ai redditi dell’obbligato, alla durata del matrimonio ed al presunto tenore di vita condotto dalla coppia, nè era determinante la pregressa attività lavorativa che la moglie, onerata delle cure del figlio autistico, aveva svolto nella Società riferibile alla famiglia del marito.

Avverso detta sentenza, ha proposto ricorso G.F. sulla base di due motivi, ai quali la Gr. ha resistito con controricorso, con cui ha riproposto, in subordine, la domanda volta al riconoscimento di alimenti e risarcimento ex art. 129 bis c.c., alla quale il G. resistito con controricorso.

In esito all’adunanza del 17.1.2018, la causa è stata rinviata a nuovo ruolo in attesa della decisione delle Sezioni Unite su natura e presupposti dell’assegno divorzile. La controricorrente ha depositato memoria ed il PG conclusioni scritte.

Motivi della decisione

1. Col primo motivo, si deduce, in riferimento alla statuizione sub a) di parte narrativa, la violazione e falsa applicazione dell’art. 324 c.p.c., art. 2909 c.c.; art. 8, comma 2, dell’Accordo del 18 febbraio 1984 e reso esecutivo con L. n. 121 del 1985, circa la relazione tra gli effetti della sentenza passata in giudicato, che abbia delibato quella ecclesiastica di nullità del matrimonio religioso, con quelli della sentenza non definitiva passata in giudicato che abbia pronunciato solo sulla cessazione degli effetti civili del matrimonio, senza nulla statuire in ordine alle relative conseguenze economiche.

2. Il motivo è infondato. La conclusione cui sono pervenuti i giudici a quibus circa il rapporto tra la sentenza di nullità del matrimonio e quella di divorzio, è, infatti, coerente con la condivisibile giurisprudenza di questa Corte (Cass. n. 21331 del 2013, ed in precedenza n. 4202 del 2001; n. 4795 del 2005; n. 3186 del 2008; n. 12989 del 2012, vedi pure n. 11553 del 2018), che non si è limitata ad affermare il principio – invocato dal G. per escluderne la ricorrenza nel caso in esame – secondo cui il giudicato sulla spettanza di un assegno di divorzio resta intangibile, in ipotesi di successiva delibazione della sentenza ecclesiastica di nullità del matrimonio, ma ha, a monte, rilevato che non sussiste un rapporto di primazia della pronuncia di nullità, secondo il diritto canonico, del matrimonio concordatario sulla pronuncia di cessazione degli effetti civili dello stesso matrimonio, trattandosi di procedimenti autonomi, aventi finalità e presupposti diversi, e, soprattutto, ha aggiunto che, nel diritto italiano, il titolo giuridico dell’obbligo del mantenimento dell’ex coniuge si fonda sull’accertamento dell’impossibilità della continuazione della comunione spirituale e morale fra i coniugi stessi che è conseguente allo scioglimento del vincolo matrimoniale civile o alla dichiarazione di cessazione degli effetti civili del matrimonio concordatario, e non è costituito dalla validità del matrimonio, oggetto della sentenza ecclesiastica, tenuto conto che la declaratoria di nullità ex tunc del vincolo matrimoniale non fa cessare alcuno status di divorziato, che è uno status inesistente, determinando, piuttosto, la pronuncia di divorzio la riacquisizione dello stato libero.

3. Così convenendo, la questione della spettanza e della liquidazione dell’assegno divorzile non è preclusa quando l’accertamento inerente all’impossibilità della prosecuzione della comunione spirituale e morale fra i coniugi – che, come si è detto, costituisce il titolo giuridico dell’obbligo qui in discussione – sia passato in giudicato prima della delibazione della sentenza ecclesiastica di nullità del medesimo matrimonio, come si verifica nell’ipotesi in cui nell’ambito di un unico giudizio la statuizione relativa allo stato sia stata emessa disgiuntamente da quelle inerenti ai risvolti economici. E, nella specie, tanto è accaduto: per effetto della sentenza di questa Corte n. 24990 del 10.12.2010 l’accertamento inerente all’impossibilità della continuazione della comunione spirituale e morale fra i coniugi è passato in giudicato prima della delibazione della sentenza ecclesiastica di nullità del 14.2.2011, sicchè la valutazione di spettanza e quantificazione dell’assegno divorzile è ben ammissibile, non potendo in contrario dedursi che in caso di delibazione della sentenza ecclesiastica di annullamento del matrimonio concordatario le conseguenze economiche siano disciplinate dagli artt. 129 e 129 bis c.c., in tema di matrimonio putativo, dettando tali articoli una normativa che, nel caso di passaggio in giudicato della sentenza di divorzio prima della delibazione della sentenza ecclesiastica, va, appunto, coordinata con i principi che regolano il giudicato, in applicazione dei principi già enunciati dalla giurisprudenza sopra citata al p. 2.

4. Col secondo motivo, il ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c.; L. n. 898 del 1970, art. 5, comma 6; ed omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio in relazione al reddito da lavoro subordinato da lui percepito.

5. Il motivo va rigettato per le seguenti considerazioni.

Val bene, al riguardo, rilevare che la giurisprudenza inaugurata con la sentenza delle SU di questa Corte n.11490 del 1990, ha affermato il carattere esclusivamente assistenziale dell’assegno divorzile il cui presupposto è stato individuato nell’inadeguatezza dei mezzi a disposizione del coniuge istante a conservargli un tenore di vita analogo a quello avuto in costanza di matrimonio, e da liquidarsi in base alla valutazione ponderata dei criteri enunciati dalla legge (condizioni dei coniugi, ragioni della decisione, contributo personale ed economico dato da ciascuno alla conduzione familiare ed alla formazione del patrimonio di ciascuno o di quello comune, reddito di entrambi, durata del matrimonio), con riguardo al momento della pronuncia di divorzio. Tale orientamento, rimasto fermo per un trentennio, è stato modificato con la sentenza n. 11504 del 2017, che, muovendo anch’essa dalla premessa sistematica relativa alla distinzione tra criterio attributivo e determinativo, ha affermato che il parametro dell’inadeguatezza dei mezzi del coniuge istante deve essere valutato al lume del principio dell’autoresponsabilità economica di ciascun coniuge ormai “persona singola”, ed, all’esito dell’accertamento della condizione di non autosufficienza economica, da determinare in base ai criteri indicati nella prima parte della norma.

Con la recente sentenza n. 18287 del 2018 le Sezioni Unite di questa Corte sono nuovamente intervenute, e nell’ambito di una riconsiderazione dell’intera materia, hanno ritenuto che l’accertamento relativo all’inadeguatezza dei mezzi o all’incapacità di procurarseli per ragioni oggettive del coniuge richiedente sia da riconnettere alle caratteristiche ed alla ripartizione dei ruoli durante lo svolgimento della vita matrimoniale e da ricondurre a determinazioni comuni, in relazione alla durata del matrimonio ed all’età di detta parte, affermando i seguenti principi di diritto, così riportati nelle massime ufficiali:

a) all’assegno divorzile in favore dell’ex coniuge deve attribuirsi, oltre alla natura assistenziale, anche natura perequativo-compensativa, che discende direttamente dalla declinazione del principio costituzionale di solidarietà, e conduce al riconoscimento di un contributo volto a consentire al coniuge richiedente non il conseguimento dell’autosufficienza economica sulla base di un parametro astratto, bensì il raggiungimento in concreto di un livello reddituale adeguato al contributo fornito nella realizzazione della vita familiare, in particolare tenendo conto delle aspettative professionali sacrificate;

b) la funzione equilibratrice del reddito degli ex coniugi, anch’essa assegnata dal legislatore all’assegno divorzile, non è finalizzata alla ricostituzione del tenore di vita endoconiugale, ma al riconoscimento del ruolo e del contributo fornito dall’ex coniuge economicamente più debole alla formazione del patrimonio della famiglia e di quello personale degli ex coniugi;

c) il riconoscimento dell’assegno di divorzio in favore dell’ex coniuge, cui deve attribuirsi una funzione assistenziale ed in pari misura compensativa e perequativa, ai sensi della L. n. 898 del 1970, art. 5, comma 6, richiede l’accertamento dell’inadeguatezza dei mezzi dell’ex coniuge istante, e dell’impossibilità di procurarseli per ragioni oggettive, applicandosi i criteri equiordinati di cui alla prima parte della norma, i quali costituiscono il parametro cui occorre attenersi per decidere sia sulla attribuzione sia sulla quantificazione dell’assegno. Il giudizio dovrà essere espresso, in particolare, alla luce di una valutazione comparativa delle condizioni economico-patrimoniali delle parti, in considerazione del contributo fornito dal richiedente alla conduzione della vita familiare ed alla formazione del patrimonio comune, nonchè di quello personale di ciascuno degli ex coniugi, in relazione alla durata del matrimonio ed all’età dell’avente diritto.

6. La Corte del merito si è in concreto attenuta a tali nuovi criteri, laddove ha considerato la sussistenza sia del presupposto assistenziale (mancanza di attività lavorativa) che del criterio perequativo, essendo stato valutato l’apporto della moglie al menage familiare specie riconnesso alla cura del figlio autistico delle parti, di talchè il riferimento al (presunto) tenore di vita goduto in costanza di convivenza si risolve in un formale rispetto del pregresso consolidato orientamento in materia, che non ha, in concreto, avuto valenza decisiva sulla determinazione del quantum. Non può sottacersi, peraltro, che la censura è volta, nella sua sostanza, alla richiesta di una rivisitazione del reddito percepito dallo stesso ricorrente, come dalle prodotte dichiarazioni fiscali, ed all’incidenza dell’onere di mantenimento di un altro figlio, il che attiene al giudizio di fatto ed è inammissibile in questa sede di legittimità.

7. Il ricorso va pertanto rigettato, restando assorbito il ricorso incidentale condizionato. Data la novità delle questioni affrontate, le spese vanno interamente compensate tra le parti.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso principale, assorbito l’incidentale, e compensa le spese del presente giudizio di legittimità, Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento del doppio del contributo unificato. In caso di diffusione del provvedimento dispone omettersi le generalità e gli altri dati identificativi delle parti, a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52.

Fonte: IPSOA – Famiglia e Diritto (8-9/2019 pag. 771 e ss.)

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