L’incapacità nel consenso matrimoniale – Alcuni punti fermi sul can. 1095 C.J.C.

Studio Legale Di Biagio - Studio Legale Macerata

* (Stralcio tratto dalla tesi dell’Avv. Di Biagio Emanuele – di Master di 2° livello in Consulente di Diritto Matrimoniale della Famiglia – conseguito presso l’Università degli Studi di Macerata, Facoltà di Giurisprudenza – Luglio 2004 – “L’incapacità nel consenso matrimoniale a norma del can. 1095 n. 2 e 3”).

Credo di poter affermare con un certo margine di sicurezza che alcuni punti relativi all’interpretazione del can. 1095 possano essere considerati come ormai acquisiti.

Naturalmente, il riferimento all’interpretazione va qui inteso come specificamente relativo all’interpretazione giuridica, ossia, a quella complessa attività intellettuale che – a partire dal dato della norma positiva – si sforza di comprenderne il senso1 e di applicarlo alla realtà, vagliando se e come le sue mutevoli contingenze possano essere assunte sotto una determinata regola comunitaria.

Interpretazione giuridica, poi, che l’ordinamento canonico regola accuratamente quanto ai soggetti, ai criteri usuali e a quelli cui occorre invece far ricorso in casi peculiari2. I punti acquisiti in merito al can. 1095 appaiono comunque i seguenti.

1. – In primo luogo, pare pacifico che le fattispecie legali di cui il can. 1095 è composto siano da ricondursi al cosiddetto diritto naturale, affermazione assai gravata di conseguenze anche solo da un punto di vista tecnico. Questo, ad esempio, comporta un’ampia estensione dell’ambito di applicazione della norma canonica: sia dal punto di vista del tempo, in deroga quindi al principio dell’irretroattività della legge3, sia dal punto di vista dei soggetti passivi di essa,

poiché la disposizione si estende per sé per i principi generali dell’ordinamento canonico ben al di là dei limiti previsti dai cann. 11 e 1059, trattandosi appunto di norma non mere ecclesiastica.

Quanto al concetto di “diritto naturale in un’analisi del quale anche solo per incompetenza personale, non possiamo entrare da un punto di vista filosofico, anche solo di filosofia del diritto basti solo accennare che con esso la dottrina canonica più comune intende accreditare l’idea di trovarsi di fronte ad un’esigenza di rilievo giuridico che promani dalla stessa struttura ontologica di una data realtà, qui appunto il matrimonio. Un’esigenza, quindi, inderogabile e pure immutabile se non in ragione di una ritenuta migliore e più profonda comprensione della stessa struttura ontologica della realtà.

In sintesi: con il can. 1095 ci si trova di fronte ad un’incapacità naturale e non invece solo legale della persona in rapporto al matrimonio.

2. – Un secondo aspetto su cui, almeno nelle grandi linee, può essere ritenuto sussistere un sostanziale consenso è quello della sistematica del canone.

Premesso che il Legislatore si è mosso più sulla base di esigenze pratiche che non invece in base a considerazioni di carattere scientifico o didattico, si può ritenere acquisita la legittimità della seguente partizione.

Le due prime fattispecie normative d’incapacità concernono l’attitudine del soggetto ad un atto di volontà4 sostanzialmente integro. Ciò si avrà qualora l’atto sarà espresso da un individuo fornito di un uso sufficiente della ragione5 e libero da un grave difetto della discrezione di giudizi, concetto nel quale come è noto si ricomprendono sia una sufficiente capacità di valutazione critica dei diritti e degli obblighi della condizione coniugale, sia una sostanziale capaci­tà di autodeterminazione, essendo il soggetto libero da forze endogene che lo spingano ad agire coattivamente.

La terza fattispecie normativa ammessa in ipotesi la sussistenza di un consenso intrinsecamente sufficiente prevede invece la radicale incapacità del sogget­to di osservare qualcuno degli obblighi essenziali dello stato coniugale.

Tale condizione, naturalmente se presente al momento del patto nuziale, rende il soggetto medesimo anche incapace di farsi carico di detti obblighi a titolo di dovere giuridico, secondo il noto principio impossibilium nulla obligatio.

Per quanto non tutte le sfumature di questa distinzione siano perspicue e per quanto, nella concreta esperienza giurisdizionale, non sia sempre facile isolare con precisione quale di esse si sia verificata in un determinato soggetto, ovvero, sia più pertinente per descriverne la condizione, la partizione proposta sembra utile a comprendere cosa il Legislatore abbia inteso regolamentare con la norma all’esame.

Senza quindi perdere le sfumature critichee soprattutto senza perdere di vista il dato dell’unitarietà della persona umana, che non può essere scissa artificialmente in funzioni o facoltà rigidamente distinte possiamo rite­nere che le due prime fattispecie del canone concernano l’intrinseca sufficienza del con­senso sotto il profilo soggettivo, mentre la terza ne considera l’efficacia per l’effettiva pos­sibilità, appunto, dell’oggetto su cui l’atto di volontà è diretto.

3. – Un terzo aspetto, molto delicato, ma sul quale pare sia difficile oggi poter derogare è quello concernente l’identificazione di quella che potrebbe essere denominata come la causa formale dell’incapacità, in qualsiasi delle forme normative previste.

Con tale definizione s’intende il principio razionale che consente di individuare il proprium dell’incapacità, il suo criterio distintivo da tutte quelle forma di debolezza, difficoltà, impreparazione, fragilità, superficialità che affliggono in qualche misura ogni persona umana. Queste possono purtroppo avere un influsso di fatto negativo sulla scelta matrimoniale e sul modo di viverne poi gli impegni, senza necessariamente rendere la persona incapace, irresponsabile, per qualcuno dei profili in precedenza indicati.

Com’è noto, lo stesso Legislatore è intervenuto a determinare autorevolmente tale principio formale6 affermando che è possibile parlare in senso proprio d’incapacità al matrimonio solo in presenza di una seria forma di anomalia che, comunque definibile sul piano strettamente clinico, incida in senso sostanziale non solo quindi accidentale sulle facoltà naturali del soggetto, ossia l’intelligenza e la volontà: sia nell’assumere la decisione nuziale formulandone solennemente il relativo impegno, sia nella possibilità di condurre a termine gli obblighi essenziali.

È appena da notare che tale indicazione obbedisce non già a ragioni contingenti e di mera politica legislativa, ma che si pone invece in continuità con la comprensione che la Chiesa ha sempre professato dell’istituto matrimoniale. Ossia, di un istituto naturale nel quale vivere nel modo autentico l’amore eterosessuale, uno stato di vita tendenzialmente aperto a tutti gli uomini e non invece riservato ad un’improbabile classe di persone superiori o particolarmente dotate.

Occorre quindi molto accortamente guardarsi dalla ingenua e comunque indebita inferenza che, a partire dal dato di fatto delle molte sofferenze e fatiche della vita matrimoniale e familiare odierna (almeno in Occidente), desume un allargamento delle capacità naturali richieste per contrarre matrimonio, con la conseguenza dell’allargamento pure del numero delle persone da ritenersi incapaci.

Le implicazioni antropologiche di simili operazioni andrebbero soppesate con molta cautela. Peraltro, la considerazione dei riscontri che vengono dalle cosiddette scienze umane, sembrano mostrare che la regola canonica formalmente identificativa dell’incapacità sia tutt’altro che irrazionale o avulsa dalla realtà delle cose7.

Da tutto ciò discende l’importante conseguenza che l’incapacità non può essere ricondotta all’interno di quei fenomeni pur certamente attinenti lo psichismo umano che ne configurano il dinamismo all’interno di condizioni tutto sommato ordinarie e che comunque restano disponibili alla volontà del soggetto: quali l’educazione, l’influenza della cultura, le abitudine.

Tali condizionamenti agiscono ordinariamente sull’esercizio della libertà della persona che giacché entità umana è storicamente e culturalmente condizionata rendendola magari proclive ad agire in un senso piuttosto che in un altro, ma senza renderla in senso proprio incapace di prendere una decisione o di tenere una condotta diversa da quelle effettivamente prescelte.

4. – Alla causa formale ed è un quarto punto fermo sul can. 1095 – possono fare riscontro una serie di situazioni contingenti che potrebbero essere ricondotte ai concetti di causa materiale o efficiente: materiale nel senso della potenzialità causativa dell’incapacità giuridica; efficiente nel senso dell’attuazione concreta, dell’effettiva produzione della medesima.

Com’è noto, moltissime sono le condizioni cliniche (in un senso esteso del termine) che sono state prospettate come possibili cause materiali o efficienti, che dir si voglia, dell’incapacità psichica: da quelle di sicura riferibilità alla patologia psichica propriamente intesa, quali le psicosi; a quelle solo in senso genericissimo e descrittivo qualificabili clinicamente, quali gravi stati d’immaturità.

Fra tali estremi un ampio spettro di disturbi o anomalie inerenti la personalità o la sessualità, alterazioni conseguenti all’abuso di sostanze tossiche di varia natura, oppure condizioni “nevrotiche”.

La considerazione della giurisprudenza rotale importante riferimento per l’unitarietà della giurisprudenza canonica8 conferma la varietà delle situazioni nosografiche prese in considerazione9.

Resta comunque fermo che l’incapacità psichica al matrimonio non è un concetto imme­diatamente clinico bensì giuridico e che ogni condizione di fatto che vi può dar causa deve corrispondere al criterio formale dell’incapacità, poco sopra richiamato nei termini autorevolmente indicati dallo stesso Legislatore.

5. – Ciascuna delle fattispecie normative dell’incapacità ha come punto di riferimento gli obblighi essenziali del matrimonio, i diritti e i doveri dello stato coniugale, co­me si evince in modo molto chiaro dal dettato dei nn. 2 e 3 del can. 1095.

L’incapacità non può quindi essere predicata in rapporto ad aspetti della vita matrimoniale e familiare che – ancorché auspicabili o importanti da un punto di vista esistenziale, psicologico e moralenon siano tuttavia determinanti per lo stesso esse del matrimonio, ma solo invece per il suo bene esse. Un esse in senso forte, ontologico, che trova poi nella norma canonica la sua positivizzazione come regola comunitaria.

Secondo l’impostazione più comune, tali diritti e doveri essenziali dello stato coniugale vanno desunti dall’essenza del matrimonio, che l’ordinamento definisce quale consortium totius vitae (cf. can. 1055 § 1), nonché dalle cosiddette proprietà e finalità essenziali dell’istituto.

Le prime sono costituite dall’unità del matrimonio10 e dalla sua indissolubilità11. Alla prima di tali caratteristiche inderogabili del matrimonio possono essere ricondotte due altre note distintive dell’istituto: il dovere di fedeltà e la nota dell’eterosessualità (il matrimonio è inteso dall’ordinamento canonico inter virum et mulierem), caratteristica quest’ultima sicuramente propria della concezione canonica del matrimonio, anche se fino a tempi non molto lontani non bisognosa di un’esplicita sottolineatura.

Le finalità istitu­zionali del matrimonio sono invece la sua ordinazione di principio alla generazione ed educazione della prole ed al bene dei coniugi, come dichiarato al can. 1055 § 1.

Se da alcune di tali realtà è piuttosto facile desumere il diritto e l’obbligo corrispondenti, l’operazione riesce più difficile con riferimento ad altre. Ad esempio: quali siano gli obblighi essenziali direttamente discendenti dall’essenza del matrimonio quale consortium vitae o dalla finalità istituzionale della sua ordinatio ad bonum coniugum non è ancora determinato in modo univoco, nonostanti sforzi piuttosto cospicui in merito da parte di giurisprudenza e dottrina12.

6. – Un ultimo aspetto sul quale mi sembra si possa riscontrare una certa chiarezza è quello relativo ai criteri e ai mezzi di prova secondo i quali articolare la verifica di un’ipotizzata incapacità psichica al matrimonio13.

Occorre anzitutto verificare il cosiddetto criterio soggettivo o clinico, che consente di riscontrare la presenza di quella seria forma di anomalia che costituisce la causa formale, nel senso sopra precisato, dell’incapacità.

I mezzi di prova elettivamente deputati alla verifica di questo criterio appaiono essere la ricostruzione della storia clinica del soggetto (tramite l’acquisizione di pertinente documentazione medica e/o l’ascolto dei curanti) e l’esame peritale, per la valutazione critica del quale da parte del giudice l’ordinamento canonico detta chiare condizioni.

Occorre però anche verificare il cosiddetto criterio oggettivo o normativo, ossia accertare se l’anomalia presente nel soggetto abbia radicalmente ostacolato la comprensione, la scelta o l’adempimento di qualcuno dei diritti e obblighi essenziali della condizione coniugale.

Il mezzo di prova direttamente finalizzato alla verifica di tale criterio appare essere l’accurata ricostruzione storica delle condotte del probando incapace, soprattutto d’even­tuali violazioni di detti diritti e doveri.

In difetto di tali violazioni, sarà piuttosto pro­blematico poter affermare che il soggetto non sia in grado di valutarli criticamente, di sceglierli liberamente, di adempierli e, quindi, di farsene carico a titolo d’obbligo giuridico.

I sei aspetti fin qui indicati mi appaiono quelli che possono essere definiti come punti fermi, sostanzialmente pacifici, in merito all’interpretazione giuridica del can. 1095 e del tema dell’incapacità psichica al matrimonio.

1 E, in campo canonico, il senso è sostanzialmente quello riconducibile alla volontà del Legislatore, non sembrando ad esempio congrua quel tipo di interpretazione – talora denominata evolutiva – che attribuisce alle parole della legge un senso che muta col mutare delle condizioni sociali o delle convinzioni (più) condivise nella collettività cui la legge stessa è destinata. Cf, sul punto, G. P. Montini, L’unità della giurisprudenza: Segnatura Apostolica e Rota Romana, in Aa. Vv., I giudizi nella Chiesa. Processo contenzioso e processo matrimoniale, Milano 1998, pp. 222-223.

2

Cf. soprattutto il can. 16 sui soggetti dell’interpretazione autentica della legge; il can. 17 sul criterio comune di interpretazione della legge canonica e su quelli cui fare ricorso in casi di dubbio od oscurità del dettato normativo; il can. 18 che dichiara le leggi che debbono essere soggette al criterio ermeneutico dell’interpretazione stretta; il can. 19 che indica i riferimenti in base ai quali i casi nei quali si evidenzia una lacuna della legge o della consuetudine.

3

Cf. can. 9.

4 Si ricordi che il Codice definisce il consenso matrimoniale, dal punto di vista soggettivo, proprio in termini di actus voluntatis.

5

Quello cioè adatto a una comprensione anche solo astratta, nozionale, del contenuto dell’atto, senza la quale l’atto medesimo non potrebbe essere considerato propriamente actus humanus.

6 Si fa qui riferimento alle due allocuzioni di S.S. Giovanni Paolo II in occasione dell’inizio dell’anno giudi­ziario della Rota Romana per gli anni 1987 e 1988, contenenti delle indicazioni, tuttavia, che è dato trovare con costanza nel suo insegnamento. In merito alla documentazione di tale ultima affermazione e anche in merito al valore giuridico delle fonti indicate, ci si permette il rinvio allo studio di P. Bianchi, Cause psichiche e nullità del matrimonio, I. Le allocuzioni alla Rota di Giovanni Paolo II: il tema della capacità al matrimonio, in <Quaderni di diritto ecclesiale> 16 (2003), pp. 403-431.

7 Si consiglia, a questo proposito, la lettura di G. Versaldi, Cristo modello degli sposi. Come possono i coniugi imitare Cristo non sposato?, 2003, p. 147. Il testo si raccomanda appunto in quanto mostra come le conoscenze scientifiche circa il processo di maturazione della persona, anche quanto alla sua capacità di amare, mostrino una profonda convergenza con la proposta vocazionale cristiana, anche matrimoniale; come l’ideale evange­lico sia possibile e non solo utopico; e come la crescita della persona si realizzi non deresponsabilizzandola (salvo che nei casi di patologia), ma invece aiutandola a superare le proprie debolezze e a far crescere le proprie potenzialità.

8 Cf. La Costituzione Apostolica Pastor Bonus sulla Curia Romana all’art. 126.

9

A solo titolo di saggio (e con specifico riferimento al n. 3 del can. 1095) si può consultare: P. Bianchi, “Le causae naturae psychicae” dell’incapacità, in Aa.Va., L’incapacità di assumere gli oneri essenziali del matrimonio (can. 1095 n. 3), Città del Vaticano 1998, pp.137-157.

10 Il principio monogamico, nel senso direttamente della negazione della possibilità di una poligamia simultanea.

11 Cf. il can. 1056.

12

A solo titolo di esempio, si veda l’articolata motivazione in diritto della sentenza, recentemente pubblicata, c. Stankiewicz 26 febbraio 1999, in “Monitor Ecclesiasticus 126 (2002), pp. 3-15.

13 Cf. per gli accenni fatti subito di seguito, il discorso sviluppato in P. Bianchi, L’incapacità di assumere gli obblighi essenziali del matrimonio, in “Ius Ecclesiae 14 (2002), pp. 655-676.

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