Cenni sulla mediazione familiare – Il metodo

Studio legale Di Biagio a Macerata - Diritto Canonico e Mediazione familiare

Negli ultimi anni, statisticamente è ormai provato che il numero delle separazioni in Italia è in progressivo aumento. Parallelamente è cresciuto anche il numero dei divorzi, ma con un aumento, che i tecnici, definiscono piuttosto irregolare.
La separazione dei coniugi è disciplinata dagli art. 150-158 del c.c., che evidenziano, oltretutto, l’interesse del legislatore nei riguardi dei figli in ordine all’affidamento e al mantenimento. Il minore, trova, infatti, in tutta la disciplina una certa centralità e questo sin dalla riforma del diritto di famiglia del 1975 e ancor prima nell’art. 30 della Costituzione.
In sintonia con queste disposizione l’art. 155 c.c., infatti, prevede che il giudice che pronunzia la separazione dichiari a quale dei due coniugi i figli saranno affidati e adotta ogni altro provvedimento relativo alla prole, con esclusivo riferimento all’interesse morale e materiale di essa.
Come istituto, la separazione in Italia può essere consensuale o giudiziale. La prima si basa su di un accordo tra i coniugi con il quale vengono stabilite le modalità di affidamento dei figli, gli eventuali assegni familiari e la divisione dei beni. Tale accordo per avere validità giuridica deve essere ratificato dal giudice attraversa l’omologa, la quale interverrà nel momento in cui gli accordi presi fra i coniugi non siano lesivi dell’interesse del minore.
In assenza di con sensualità tra i coniugi si ricorre alla separazione giudiziale, che, al contrario, è un vero e proprio procedimento contenzioso su istanza di uno dei due coniugi, accompagnata da un’istruttoria e dal pronunciamento di una sentenza di separazione. Essa può essere richiesta quando si verificano fatti tali da rendere intollerabile la prosecuzione della convivenza o da arrecare grave pregiudizio all’educazione della prole, considerando, inoltre, il caso in cui tali fatti potrebbero verificarsi anche indipendentemente dalla volontà di entrambi i coniugi.
L’affidamento del minore, nel rispetto dei suoi interessi, dovrebbe significare anche, per quanto è possibile, il rispetto della sua volontà, delle sue scelte, della sua libertà e della sua autonomia. Purtroppo la legge, pur volendo tutelare il minore, non lo considera parte, non prevedendo il suo consenso all’affidamento – se naturalmente ha la maturità necessaria per farlo -, la sua presenza per essere ascoltato o una persona specifica che sia addetta alla sua tutela.
Questo contesto e l’emergere sempre più del problema separazione, fa nascere in seno alla realtà odierna, in particolar modo in quella giuridica, la necessità di una nuova cultura della separazione, che sia diversa rispetto a quella più diffusa che la vede come evento patologico e di difficile soluzione. Questo perché si avverte la necessità di una maggiore tutela delle persone stesse che si separano e dei loro figli, poiché è inevitabile che con la separazione il passaggio dall’unione legale a quella di fatto stabilita dai termini della separazione, implica il cambiamento di abitudini ed una riorganizzazione dei rapporti familiari ed economici.
Ecco che al fine di una positiva riorganizzazione della vita di tutti i componenti del nucleo familiare e, particolarmente, nell’interesse dei minori, sarebbe più opportuno che, accanto ad una nuova cultura della separazione, si sviluppi, come del resto sta in parte accadendo, una cultura della mediazione familiare sia nell’ambito dei servizi sociali, sia nell’ambito di quelli giuridici.
Lo sviluppo della mediazione familiare in Italia si deve far risalire alla fine degli anni ’80 attraverso l’Associazione Genitori Ancora (GeA) fondata nel 1987. Nel 1989 nasce il primo centro pubblico di mediazione familiare in Italia: il Centro Genitori Ancora (GeA). L’ingresso dell’Italia nella Commissione europea che si occupa della formazione e della deontologia del mediatore familiare ha sancito un passo in avanti in tale ambito e nel 1995 su iniziativa dell’Associazione GeA, nacque la S.I.Me.F. (Società Italiana di Mediazione Familiare), allo scopo di riunire le associazioni ed i servizi che condividono i principi e le finalità della mediazione familiare dettate dalla Carta Europea.
Attualmente, si sta lavorando molto affinché le varie associazioni sorte nel frattempo e quelle nascenti rientrino nel progetto comune di regolamentazione della mediazione familiare, rispondente ai criteri rigorosi e precisi che vengono proposti dalla Commissione Europea.

La mediazione familiare dal punto di vista tecnico-operativo si base su tre modelli ormai ampiamente affermati: modello Coogler, Haynes e Irving-Benjamin. Questi tre modelli si differenziano tra loro solo riguardo alla conduzione del processo stesso di mediazione, pur mantenendo tutti lo stesso obiettivo la riorganizzazione della relazione familiare. Possiamo dure che ogni modello, pur percorrendo vie lievemente differenti, hanno la funzione di raggiungere lo stesso traguardo.
A livello di conduzione della mediazione, la differenza più marcata la si può notare nella presenza o meno dei figli negli incontri di mediazione.
Nel modello Coogler i genitori sono incoraggiati a rendere partecipi i figli sulle questioni che li riguardano, sempre che abbiamo la giusta maturità per capire le dinamiche di mediazione.
Nel modello Haynes i figli vengono fatti partecipare alla mediazione nel momento in cui si sia già trovato un accordo tra i genitori al fine di avere la conferma della positività della scelta fatta.
Nel modello Irving-Benjamin i figli non vengono mai fatti partecipare agli incontri poiché si ritiene più vantaggioso per loro predisporre i genitori stesi al dialogo con i propri figli, senza alcuna interferenza esterna quale quella della mediazione.

Nel valutare ora la posizione del mediatore come persona addetta all’attività del processo di riorganizzazione, la S.I.Me.F. nel Codice Deontologico, definisce il mediatore come: “un terzo naturale e con una formazione specifica sollecitato dalle parti nella garanzia del segreto professionale ed in autonomia dall’ambito giudiziario, si adopera affinché i genitori elaborino in prima persona un programma di separazione soddisfacente per sé e per i propri figli, in cui possano esercitare la comune responsabilità genitoriale.
Per capire l’identità del mediatore familiare bisogna rapportarsi a due contesti: quello formativo e quello ideologico.
Il percorso formativo presuppone alcuni passaggi:
Studio.
L’aspetto pratico.
Una supervisione.
Queste sono da ritenere in linea generale le fasi necessarie per poter diventare un mediatore familiare, il cui fine è ottenere strumenti per elaborare un modo nuovo e più costruttivo di pensare d’ora in poi alla separazione come ad un processo di crisi e di trasformazione, nel senso che è essenziale fornire degli obiettivi culturali, oltre che conoscitivi.
La deontologia ha la funzione di stabilire delle regole comuni a chi si vuol impegnare in tale pratica.
Si agisce su istanza di parte.
Il mediatore è sempre sollecitato dalle parti e soltanto da loro può ricevere l’incarico. Questo certamente non esclude che l’istanza possa venire da giudici, assistenti sociali, avvocati. A tal fine l’art. 2 del codice deontologico afferma: “Il ruolo del mediatore familiare è quello di portare i membri della coppia a trovare da sé le basi di un accordo durevole e mutuamente accettabile tenendo conto dei bisogni di ciascun componente della famiglia e in particolare dei figli in uno spirito di corresponsabilità e uguaglianza dei ruoli genitoriale”.
Deve mantenersi imparziale e neutrale.
Per far ciò, il mediatore deve essere imparziale e neutrale. L’imparzialità richiede l’obiettività durante la mediazione, senza eccedere in favoritismi o simpatie; mentre la neutralità significa propriamente dall’astenersi dal prendere posizioni tra le due parti contrapposte. Questo permette al mediatore di far riprendere una comunicazione circolare che ricostituisca le diverse relazioni dopo una separazione consensuale. Il mediatore a sua volta, in questo contesto, riesce a controllare il processo di mediazione, mantiene l’equilibrio tra le due parti, le quali a loro volta non devono essere però reticenti circa le informazioni da fornire, pena il mancato esito positivo della mediazione. Da tutto questo deriva l’impossibilità per il mediatore di offrire la propria opera ad amici, parenti o conoscenti, poiché risulta fisiologico la violazione dell’imparzialità e neutralità. Analogamente, il mediatore non deve mai ricercare o anche accettare informazioni preliminari sulle parti, perché questo potrebbe costare l’esito positivo della mediazione.
Mantenere il segreto professionale
Nessuna relazione scritta dovrà essere inviata a qualcuno. Solo gli accordi stilati a chiusura della mediazione saranno scritti, ma il mediatore dovrà far presente alle parti che quanto stabilito nella scrittura non avrà nessuna valenza legale e saranno loro stessi a decidere i tempi e i modi ed a riferire al giudice o agli avvocati i risultati della mediazione svolta.
Può essere interrotta da lui stesso la mediazione.
Gli obiettivi da raggiungere il mediatore li dovrà rendere noti alle parti sin dall’inizio e se le modalità della mediazione e il suo decorso sia reso vano dal comportamento di una delle parti o di entrambe, il mediatore potrà interrompere lui stesso il lavoro. Questo avverrà quando da questo comportamento lui non potrà garantire imparzialità e neutralità.
Violazione del codice.
Questa violazione potrà comportare l’espulsione del mediatore dall’organizzazione di appartenenza, con la possibilità di una misura sanzionatoria.

Si può validamente sostenere come il mediatore in questa opera sia portato a svolgere un ruolo di educatore. Questo avviene trasmettendo delle regole di comportamento che hanno la funzione di portare gli ex coniugi a procedere in modo autonomo nel loro esercizio di genitori responsabili in un clima di collaborazione e di rispetto reciproco.
Il fattore educativo è indispensabile in quanto nel momento in cui i due genitori accettano di intraprendere il percorso di mediazione familiare ne diventano automaticamente i protagonisti, nel senso, che loro con l’aiuto del mediatore si dovranno impegnare affinché i loro figli sempre possano contare sul loro apporto, sul loro sostegno e sul loro affetto.
All’interno della mediazione si vengono allora a creare due ruoli sinergici: da un lato il mediatore che ha il compito di riattivare nelle parti la loro competenza genitoriale; dall’altro i genitori che insieme devono collaborare responsabilmente al fine di instaurare tra loro una forma di comunicazione che permetta di discutere dei figli per i problemi attuali e futuri in modo autonomo ed indipendente.
La lite durante la mediazione mette in gioco le potenzialità del mediatore. In questo caso egli ha il compito, quando lo ritiene opportuno o di interrompere l’incontro, rinviandolo ad un’altra data o di accogliere tale conflitto poiché è giusto che la tensione creata sia convogliata verso fini comuni.
Una situazione del genere potrà anche sfociare in una fine della mediazione, ritenendo la coppia non adatta al percorso di mediazione. L’esempio è la grave incompatibilità, la presenza di gravi malattie o disturbi psichici. In tal caso è dovere del mediatore informare la coppia che gli unici percorsi possibili, per la soluzione della separazione, sono da ricercare in un percorso giuridico e in secondo luogo, se vorranno, in un percorso psico-pedagogico per il bene di se stessi e dei figli.

I figli sono i soggetti privilegiati dell’azione dei mediatori familiari e delle decisioni. In ogni caso il mediatore assume la rappresentanza dei figli (non istituzionale), nel senso che deve richiamare i genitori alla loro funzione primaria educativa.

Ovviamente le competenze del mediatore finiscono dove iniziano quelle di altri professionisti. Pertanto il mediatore non si propone come una professionalità esterna, né tanto meno alternativa o in contrapposizione ad altre figure. Il mediatore rappresenta proprio quello spazio che prima mancava all’interno del processo di separazione e che ora consente alle coppie consenzienti di mediare, di dargli un significato personale.

Un lavoro efficiente, alla fine, richiede anche un lavoro di equipe che presuppone:
Una parte organizzativa.
La discussione
La formazione permanente.

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